Al centro del tavolo del governo vi è l’INPS. L’uguaglianza del coefficiente di trasformazione per tutti rappresenta una situazione da correggere.
Il tema affrontato nel dossier che nei prossimi giorni verrà messo al banco del governo è delicato e complesso. La firma di tale atto è dell’istituto nazionale della previdenza sociale, meglio conosciuto come INPS.
Lo squilibrio delle pensioni è oramai piuttosto evidente, un tema delicato che il governo Meloni non può non passare in rassegna. L’INPS infatti, definisce questo mancato equilibrio come una vera e propria “ingiustizia” del sistema che deve essere necessariamente corretta, nel momento in cui si parla di un sistema fondamentale e alla base di una gran parte della società.
Squilibri nelle pensioni: di cosa si tratta?
Parliamo di intere categorie di persone con un lavoro che, giunti all’età di 67 anni, vivono in media più di altre percependo una pensione. Steso discorso si può plasmare per un intero spicchio di pensionati residenti in determinate regioni del territorio italiano.
L’assegno pensionistico viene ovviamente calcolato in base ad un sistema specifico il quale, però, non tiene conto di tali differenziazioni. Si può dire sia più o meno unico per tutti i pensionati senza tali distinzioni.
Quello che viene chiamato «coefficiente di trasformazione», nonché il numero che muta in assegno pensionistico i contributi versati durante la carriera lavorativa è, infatti, uguale per tutti.
Come accennato in precedenza, è una disuguaglianza nel sistema secondo l’INPS.
I casi delle disuguaglianze nelle pensioni
Un primo caso di cui possiamo fare menzione è, ad esempio, la gestione Indpai, nonché la gestione che rilascia la pensione dei dirigenti, o ancora il Fondo Volo, in cui troviamo categorie come ex piloti d’aereo, hostess, assistenti di volo e l’intero team di equipaggiamento.
In media, secondo le analisi dell’INPS, chi fa parte di queste gestioni previdenziali, riceve la pensione per i 19,7 anni successivi al pensionamento.
Una persona che percepisce la pensione nel fondo dei lavoratori dipendenti, in cui troviamo categorie di impiegati, operai, riceve mediamente per i 17,6 anni dopo aver conseguito la pensione. In pratica due anni di pensione in meno.
Scavando sempre più in profondità, tra medie e dati, e oltre al prendere al banco solo la gestione previdenziale, bisogna tener conto anche della classe di reddito, ed in questo caso la differenziazione si fa sentire ancor con più prepotenza, marcando così il vasto squilibrio di cui accennavamo in precedenza.
Il cosiddetto “primo quintile”, ovvero la classe più bassa di reddito, più semplicemente un lavoratore dipendente che ha già conseguito la pensione, vive in media cinque anni in meno, rispetto ad un ex pilota che, al contrario, si trova nel “quinto quintile”, la classe più alta di reddito.
Messe in tabella, con due semplicissimi calcoli, 16 anni di pensione per il primo verso i 20,9 per l’ex pilota d’aereo.
Differenze tra regioni
Ma le disparità non si fermano qui; esistono anche notevoli differenze nella durata della vita dopo il pensionamento, spesso influenzate dalla regione di residenza.
Per gli uomini, la massima aspettativa di vita dopo i 67 anni si riscontra nelle Marche e nell’Umbria, con una durata media di 18,3 anni, mentre per le donne il record spetta al Trentino Alto-Adige, dove la speranza di vita media dopo il pensionamento raggiunge ben 21,6 anni.
In ambedue i casi, la speranza di vita dopo il pensionamento, quindi si parla sempre dell’età media di 67 anni è più bassa in regioni come Campania e Sicilia, rispettivamente pari a 17 e 17,1 anni.
Anche quando si considerano le Regioni, è possibile affinare ulteriormente il calcolo, tenendo conto anche del livello di reddito familiare.
Un uomo che si trova nel “quinto quintile”, quindi come già detto, nella fascia più alta di reddito, in Umbria e nelle Marche vive mediamente per 19,4 anni dopo i 67 anni ed il conseguimento della pensione.
Allo stesso modo, una donna proveniente dalla stessa fetta di torta del reddito più alto, se consideriamo che ella viva in Trentino-Alto-Adige, vive in media per 22,5 anni dopo il pensionamento.
Una donna proveniente da Sicilia o Campania, trovandosi nella fascia più bassa di reddito, “primo quintile” riceve una pensione per 18,8 anni.
Secondo quanto afferma l’INPS nel suo dossier, la presenza di notevoli differenze rappresenta una problematica dal punto di vista dell’equità e anche della solidarietà, poiché il sistema previdenziale attuale applica un tasso di trasformazione uniforme al montante contributivo.
«la presenza di differenze significative è problematica dal punto di vista dell’equità ed anche della solidarietà in quanto l’attuale sistema previdenziale applica al montante contributivo un tasso di trasformazione indifferenziato. Il non tener conto», si legge, «del fatto che i meno abbienti hanno una speranza di vita inferiore alla media risulta nell’erogazione di una prestazione meno che equa a tutto vantaggio dei più abbienti»
Un concetto che nell’analisi condotta dell’INPS viene enfatizzato più volte riguarda le disparità nell’aspettativa di vita:
«si scontrano con l’utilizzo di un coefficiente di trasformazione unico per il calcolo della pensione che risulta fortemente penalizzante per i soggetti meno abbienti il cui montante contributivo viene trasformato in una pensione più bassa di quella che otterrebbero se si tenesse conto della loro effettiva speranza di vita. Viceversa», prosegue lo studio, «i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita».
Di fatto, si è discusso dei coefficienti di trasformazione anche durante i negoziati con i sindacati riguardo alla riforma previdenziale. Spesso, i rappresentanti dei lavoratori e dei pensionati hanno avanzato la richiesta di bloccare l’adeguamento dei coefficienti in base all’aspettativa di vita.
Questi indicatori, che convertono i contributi in prestazioni pensionistiche, vengono periodicamente aggiornati ogni due anni. In genere, poiché l’aspettativa di vita tende ad aumentare, gli adeguamenti hanno un effetto negativo sugli importi delle pensioni.
Tuttavia, l’idea di ulteriori differenziazioni in base all’attività lavorativa o alla regione di residenza non è semplice da attuare, in quanto potrebbero essere introdotte altre forme di differenziazione, come ad esempio tra uomini e donne, dato che in genere le donne hanno una speranza di vita mediamente superiore a quella degli uomini.